Curata da Beatrice Paolozzi Strozzi, in collaborazione con Silvio Balloni e Ilaria Ciseri, la mostra intende proporre la storia del periodo di formazione del Museo del Bargello, alla fine del XIX secolo, attraverso la figura del suo primo direttore, Igino Benvenuto Supino (1858-1940): grande storico dell’arte, ma anche pittore e museografo di fama internazionale. In rapporto con tutte le personalità più eminenti della cultura letteraria, storica e figurativa tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale – dal Pascoli al Carducci, Wilhelm von Bode, Adolfo Venturi, Marcel Reymond, Gabriele D’Annunzio, Giovanni Fattori, Vittorio Corcos… – Supino fu fondatore della moderna disciplina storico-artistica, basata sulla ricerca documentaria e sull’uso, allora pioneristico, della fotografia. Ma in gioventù fu lui stesso pittore (allievo di Antonio Ciseri all’Accademia di Belle Arti di Firenze) e personaggio di spicco nell’ambiente artistico fiorentino della fine del secolo. I suoi rari dipinti, d’ispirazione prima macchiaiola poi simbolista, mai esposti finora, dimostrano i suoi stretti rapporti, in gioventù, con Giovanni Fattori (testimoniati in mostra da una lettera autografa del maestro e da due quadri che gli donò); più tardi, con Vittorio Corcos e Plinio Nomellini, che lo ritrassero entrambi in due dipinti, anch’essi presentati al pubblico. La sua passione per la caricatura è poi rievocata dalle molte che gli dedicarono gli amici artisti: da Tricca – “ritrattista ufficiale” dei macchiaioli – a Vamba, a Emilio Lapi, a “Nasica”…
Alla soglia dei trent’anni, la repentina conversione alla storia dell’arte lo porterà ad una rapida carriera di studioso e di conservatore, con incarichi prestigiosi come l’ordinamento del nuovo Museo Civico di Pisa, nel 1893 e, tre anni più tardi, la nomina a Ispettore responsabile del Museo Nazionale del Bargello, di cui sarà il primo a ricoprire la carica di Direttore, istituita nel 1904. Un’ampia panoramica, anche fotografica, evocherà il decennio di Supino al Bargello, fondamentale per la trasformazione del museo e la sua fisionomia, che tuttora conserva: cruciali nella storia del museo furono infatti il suo progetto di riordinamento generale (1897), le acquisizioni da lui proposte e ottenute, gli studi sulle collezioni, a cominciare dalla guida completa, èdita nel 1898, e a tutt’oggi il repertorio inventariale più completo delle raccolte. La mostra si conclude con la sezione dedicata agli anni bolognesi di Supino (1907-1940), fondatore dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università, autore di saggi e repertori fondamentali, e, per trent’anni, docente di fama internazionale. Promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, finanziata dall’“Associazione degli Amici del Bargello” (onlus) e dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo museale della città di Firenze, la mostra presenta dunque una biografia “visiva” di questa personalità per tanti aspetti straordinaria, ricostruita attraverso documenti autografi, fotografie e opere d’arte (pitture, sculture, disegni) di proprietà degli eredi, ma anche attraverso un film, proiettato in mostra – e in DVD a corredo del catalogo, per i tipi di Mauro Pagliai Editore – che ripercorre i luoghi della vita di Supino e gli anni del suo direttorato del Bargello, realizzato da Matteo Musso.
La mostra monografica di Ugo Nespolo (la prima fatta a Firenze) risponde all’esigenza di promuovere anche l’arte contemporanea all’interno di musei che presentino nelle loro collezioni opere suscettibili di confronti diretti fra tradizione e modernità, soprattutto in relazione alle diverse tecniche artistiche. Il Bargello intende così valorizzare il suo straordinario patrimonio di arti “minori”, presentando una rassegna di opere dalle tecniche e dalle funzioni più disparate (maioliche, vetri, mosaici, sculture, dipinti, grafica, scenografia, editoria d’arte…), realizzate da uno dei più celebri artisti italiani contemporanei e alcune delle quali dedicate al Museo del Bargello. L’obbiettivo che si prefigge è quello di coinvolgere anche il pubblico più sensibile alla cultura contemporanea, affinché riconsideri il ruolo del nostro patrimonio storico – artistico come fonte di ispirazione e come espressione di continuità col presente.
Dopo la mostra Bernini and the Birth of Baroque Portrait Sculpture organizzata dal J. Paul Getty Musem di Los Angeles e dalla National Gallery di Ottawa (5 agosto 2008 – 8 marzo 2009), anche Firenze rende omaggio all’artista e alle sue eccezionali qualità di ritrattista: con il busto di Costanza Bonarelli, il Museo Nazionale del Bargello possiede infatti la testimonianza più emozionante e più celebre della svolta che Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) operò nel genere della ritrattistica scultorea.
Rispetto alla mostra di Los Angeles e Ottawa, questa nuova esposizione manifesta peraltro una propria forte identità, a cominciare dalla scelta di concentrarsi sui ritratti che Bernini realizzò fin da giovanissimo. Due le sezioni:
1) Bernini ritrattista: l’esordio e l’ascesa;
2) I ‘ritratti parlanti’ (1630-1640).
Corrispondono alle due sale del museo che ospitano la mostra.
Il ritratto scolpito ebbe straordinaria diffusione nella Roma della prima metà del Seicento. Era stato concepito nel Cinquecento soprattutto come state-portrait con una forte connotazione ufficiale. L’innovazione avvenne in poco più di un ventennio, tra il 1615 e il 1640. Grazie a Bernini, si passò dalle immagini severe e compassate a figure che sembrano respirare e addirittura colloquiare con lo spettatore. I così detti ‘ritratti parlanti’.
In un confronto diretto e affascinante con i busti scolpiti, sono esposte alcune opere dei massimi protagonisti della pittura del tempo e attivi a Roma (Rubens, Carracci, van Dyck, Velazquez, Vouet, Valentin de Boulogne, Pietro da Cortona). Ad essi Bernini pare rapportarsi e, talvolta, ispirarsi. Due dipinti (Ritratto di Urbano VIII e l’Autoritratto degli Uffizi) permettono inoltre di conoscere il Bernini ritrattista anche in pittura.
La mostra fiorentina mette dunque in luce la fase più significativa della produzione ritrattistica dell’artista, quella in cui si afferma il suo magistero rappresentato, oltre che da Costanza Bonarelli, dai Ritratti di Urbano VIII, di Scipione Borghese e di altri personaggi della cerchia papale.
In questo stesso periodo emerge anche la figura di Giuliano Finelli, allievo e aiuto di Gian Lorenzo. La mostra ne presenta alcuni dei più superbi ritratti: come il busto di Maria Barberini Duglioli del Louvre, il ritratto di Francesco Bracciolini del Victoria & Albert Museum, o quello di Michelangelo Buonarroti il giovane da Casa Buonarroti (Firenze).
Il 29 novembre 2008 presso il Museo Nazionale del Bargello è tornato visibile al pubblico il David di Donatello restaurato.
Il restauro è stato eseguito – in un “cantiere aperto” al pubblico – nel Salone di Donatello del Museo Nazionale del Bargello (dove l’opera è esposta dal 1887), con il finanziamento del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’intesa con il Consiglio Regionale della Toscana, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, in occasione del 40° anniversario dell’alluvione di Firenze (4 novembre 1966).
Il David di bronzo di Donatello (1386-1466) è tra le opere più note e più ammirate dell’intero Quattrocento, ma nessun documento ci informa sulla sua esecuzione: è esplicitamente ricordato per la prima volta al centro del cortile di Palazzo Medici soltanto nel 1469.
Commissionato quasi certamente da Cosimo il Vecchio e forse ospitato in un primo tempo nella “ casa vecchia” dei Medici, dal 1459 circa al 1495 occupò quel posto d’onore nel nuovo palazzo mediceo, finito da Michelozzo nel 1455.
Per il silenzio delle fonti, le opinioni degli studiosi sulla cronologia dell’opera sono da sempre contrastanti e oscillano dalla fine degli anni venti fin oltre la metà del secolo. L’ipotesi ritenuta oggi più attendibile colloca il David negli anni che subito precedono la partenza di Donatello per Padova (1443), anche per lo stretto rapporto formale che esso ha con altre opere dell’artista databili tra la fine del quarto e gli inizi del quinto decennio del secolo. Qualunque fosse il significato che l’artista e il committente intesero dare alla figura, Donatello crea qui un’immagine del tutto inedita del giovane eroe-pastore della Bibbia, protettore della Repubblica fiorentina: un adolescente efebico, la cui acerba nudità allude all’umiltà e al coraggio, che sconfiggono la superbia e la forza bruta.
Il David non è stato sottoposto da almeno un secolo a interventi di restauro e la sua conservazione si è limitata a operazioni di ‘ordinaria manutenzione’. L’importanza dell’opera, la delicatezza del suo modellato e la presenza di resti delle dorature originali, eseguite con la fragilissima tecnica della “missione”, avevano finora sconsigliato una pulitura approfondita. Negli ultimi anni, le nuove metodiche di restauro (impiego del laser) nei bronzi rinascimentali, hanno consentito di affrontare l’intervento sul capolavoro donatelliano con garanzie di un esito perfetto: come mostra oggi l’oro recuperato, soprattutto sui capelli e la qualità anche cromatica della patina originale. Il restauro e le novità scientifiche – sia storiche che tecniche – emerse nell’occasione, sono documentate in questo catalogo, ampiamente illustrato, con i contributi degli studiosi e di tutti gli specialisti che hanno collaborato all’intervento, eseguito presso il Museo Nazionale del Bargello, dal giugno 2007 al novembre 2008.
Il Museo Nazionale del Bargello organizza la prima mostra monografica dedicata allo scultore Vincenzo Danti (Perugia, 1530-1576). La mostra ha preso occasione dal restauro delle tre grandi figure in bronzo del Battistero di Firenze, che raffigurano la Decollazione del Battista e sono il capolavoro dello scultore. Grazie alla disponibilità dell’Opera di Santa Maria del Fiore, questo gruppo monumentale appena restaurato costituirà il fulcro dell’esposizione, che è perciò intitolata: I grandi bronzi del Battistero. L’arte di Vincenzo Danti, discepolo di Michelangelo.
Contemporaneo del Giambologna, ma morto assai giovane, come lui Danti lavorò a lungo al servizio dei Medici. Gran parte delle opere che realizzò per Cosimo I sono oggi conservate al Museo Nazionale del Bargello, che è dunque la sede privilegiata per richiamare l’attenzione del pubblico su questo straordinario scultore del Cinquecento, particolarmente attento alla lezione di Michelangelo. Nonostante Danti non sia stato né un allievo né un collaboratore diretto del Buonarroti, ne fu tuttavia tra i più originali e importanti seguaci. Il suo rapporto con Michelangelo, di cui può ritenersi un ideale “discepolo”, si basò infatti su una libera elezione delle opere del maestro come modelli normativi: studiandole lungamente e da vicino, egli ne condivise in profondità non solo gli ideali formali, ma anche la tecnica e il metodo di lavoro. Peraltro, il suo ‘michelangiolismo’ è diverso da quello dei seguaci fiorentini del Buonarroti, legati alle opere giovanili del maestro presenti a Firenze. Danti porta invece nella città dei Medici il linguaggio formale del Michelangelo romano e dei molti suoi discepoli – scultori e pittori – dal 1550 in poi.
La mostra, che intende riunire al gruppo del Battistero e alle opere del Danti già presenti al Bargello gran parte di quelle collocate in altre sedi fiorentine e in raccolte museali in Italia e all’estero, sarà certamente l’occasione per uno studio critico approfondito di questo scultore anche dal punto di vista della sua tecnica magistrale. L’attuale restauro del gruppo monumentale del Battistero, condotto sotto la supervisione dell’Opificio delle Pietre Dure, offrirà alla mostra e al catalogo un ulteriore fondamentale apporto di conoscenze scientifiche. La rassegna sarà a cura della Direzione del Museo Nazionale del Bargello e di Charles Davis, noto specialista di scultura del Cinquecento e di Vincenzo Danti in particolare. Altri studiosi e specialisti svilupperanno con loro saggi in catalogo i diversi aspetti dell’arte del Danti, per offrirne un “ritratto” quanto più possibile completo e nella più larga prospettiva della cultura figurativa del suo tempo.
Dal 29 settembre il Museo Nazionale del Bargello esporrà nuovamente la grande Madonna col Bambino in cartapesta di Jacopo Sansovino, tornata al Museo dopo un accurato restauro eseguito dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma.
Grazie all’intervento, il bassorilievo ha recuperato gran parte dell’originaria policromia che valorizza notevolmente l’opera dello scultore fiorentino.
L’esposizione è organizzata dal Museo Nazionale del Bargello con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino, in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Restauro e l’associazione ‘Amici del Bargello’, che ha contribuito a finanziare l’iniziativa.
Della composizione sansoviniana, realizzata in un materiale raro e fragile, si conoscono almeno altri dieci esemplari, in musei europei e americani. Il caso di un così alto numero di rilievi in cartapesta costituisce un unicum nel Cinquecento; la mostra si propone di spiegarlo con l’ausilio di pannelli didascalici e di un audiovisivo, che illustrano anche gli aspetti tecnici e il restauro.
Con il ritorno della Madonna al Bargello si è voluta offrire, per la prima volta, l’opportunità di un confronto dell’opera con altri esemplari, provenienti dal Louvre e dal Museo del Cenedese di Vittorio Veneto, dalla collezione Acton di Villa La Pietra (New York University).
In occasione dell’intervento sull’opera del Bargello, l’Istituto Centrale per il Restauro ha avviato una sperimentazione basata sulla tecnologia digitale 3D, grazie alla quale si può accertare la derivazione dei diversi esemplari da un comune modello.
Nel pieno Quattrocento fiorentino, l’opera di Desiderio da Settignano (1429–1464) costituisce uno dei momenti più alti della creatività nel campo della scultura del Rinascimento. Il Museo Nazionale del Bargello, in collaborazione con il Museo del Louvre e con la National Gallery di Washington, ha voluto organizzare la prima mostra dedicata a questo artista. Sebbene Desiderio muoia molto giovane nel 1464 (attorno ai trentacinque anni), la sua opera è particolarmente significativa dello stile fiorentino degli anni cinquanta e sessanta del ‘400: cioè, del momento che segue la partenza di Donatello per Padova (1443) e permette a una nuova generazione di scultori di sviluppare le idee del Rinascimento. Assieme ad altri artisti – come ad esempio Antonio Rossellino – Desiderio caratterizza il suo linguaggio formale come uno “stile dolce”, che unisce un sensibile trattamento della materia alla dolcezza delle figure e alla forza delle espressioni in uno straordinario catalogo di opere, realizzate principalmente in marmo. Così come Donatello, Desiderio raggiunge nella lavorazione del marmo – ed in particolare nella resa del rilievo “stiacciato” – un livello di perfezione raramente eguagliato. Attorno alle sculture di Desiderio, conservate nei tre musei organizzatori, e con l’apporto di poche altre opere fondamentali prestate da altri musei europei e americani, la mostra – articolata in diverse sezioni tematiche – si propone di mettere in evidenza differenti generi e diversi soggetti nei quali Desiderio ha dato prova della sua arte: i busti di bambini e di fanciulle, caratterizzati da una grande delicatezza; i rilievi di Madonne col Bambino e altri, pure a carattere devoto ma di grande vivacità narrativa, come il San Girolamo; lo straordinario repertorio di scultura decorativa, come quella araldica e di complemento all’architettura civile e religiosa, negli anni del suo massimo splendore a Firenze. Questo evento vuole dunque rendere giustizia a uno straordinario ‘virtuoso’ del marmo, mettendone in evidenza il ruolo di primo piano nella storia della scultura toscana del XV secolo, come pupillo di Donatello e come l’interprete più sensibile e più moderno della sua lezione: all’arte di Desiderio guarderà con particolare attenzione il giovane Leonardo, nei suoi studi sullo ‘sfumato’ non meno che nella resa psicologica di suoi personaggi. La mostra vuole anche essere l’occasione per confrontare la maggior parte delle opere dello scultore, consentendo così di approfondire la conoscenza del suo stile e della sua tecnica, nonché dei ‘generi’ decorativi in cui si specializzò la sua bottega. Il catalogo include contributi di numerosi storici dell’arte italiani, francesi e anglosassoni e permette attraverso una ricca serie di saggi, di schede e di immagini, di fare il punto su un artista tanto squisito quanto controverso e misterioso, a cui da quarant’anni non è stato dedicato alcuno studio monografico.
È la prima mostra che l’Italia dedica al Giambologna, la cui ultima rassegna monografica fu tenuta a Vienna e Londra nel 1978. Negli oltre vent’anni intercorsi da allora, sono state effettuate molte nuove ricerche d’archivio e un gruppo nutrito di studiosi ha lavorato ultimamente attorno alla figura di questo importante artista, il più celebrato tra gli scultori che vissero in Italia dopo Michelangelo e prima di Bernini. Grazie a questa inedita e rilevante mèsse di notizie, possiamo oggi comprendere meglio la sua vicenda e la sua personalità artistica. La mostra si concentrerà su tre aspetti della scultura profana del Giambologna: i modelli e bozzetti, le figure nude di soggetto mitologico e i monumenti equestri. “Invenzioni” che ebbero grande fortuna e furono largamente imitate nelle grandi corti d’Europa. Una sezione sarà poi dedicata ai lavori commissionati al Giambologna dal Granduca Francesco de’ Medici, il più importante mecenate dello scultore.
La mostra è dedicata ad una delle opere più celebri e più misteriose di Donatello, il così detto “Amore-Attis”, che rientra al Museo dopo un lungo e complesso restauro, eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure.
Prima di riprendere il suo posto nel Salone di Donatello, al primo piano del Bargello, il bronzo donatelliano viene presentato al pubblico e agli studiosi, nelle sale al piano terreno dedicate alle esposizioni temporanee.
Il restauro ha avuto esiti eccellenti: la pulitura (in parte eseguita al laser ) ha portato al recupero delle dorature “a foglia” e di straordinarie patinature originali, che sembrano proprio “colorare” il bronzo e dargli vita. Dal punto di vista strutturale e conservativo, l’intervento ha potuto risarcire pienamente vecchi danni: in particolare, una vistosa frattura al braccio destro, che torna così ad essere saldamente posizionato, restituendo alla figura tutta la sua integrità e la grazia del movimento.
Il lungo restauro ha però anche offerto l’occasione per nuovi studi, dei cui risultati la mostra e il catalogo danno conto.
Quest’opera di Donatello, per la sua complessa iconografia e per la sua committenza, è infatti da sempre un rebus che non ha trovato finora soluzioni esaurienti. La prima citazione, come opera di Donatello, è nelle Vite del Vasari (1568), che vide il bronzo in casa di Giovanni Battista di Agnolo Doni e lo descrisse come “un Mercurio di metallo […] alto un braccio e mezzo, tutto tondo vestito in un certo modo bizzarro”. Ma già alla fine del ‘500, s’era persa memoria della paternità donatelliana e la scultura venne ritenuta antica fino al 1778, quando – in occasione della sua offerta di vendita al Granduca da parte della famiglia Doni, che ne era ancora proprietaria – se ne riconobbe l’autografia del grande sculture quattrocentesco, per merito di Luigi Lanzi, “antiquario” della Galleria. In questo stesso anno l’opera prese posto nella sala dei bronzi moderni, agli Uffizi, per poi passare nel nuovo Museo Nazionale del Bargello, nel 1865.
Numerose opere d’arte, tra le più suggestive e meno note del Museo, presenteranno al pubblico una sorta di itinerario visivo della storia del palazzo, anche alla luce delle recenti ricerche sulla sua struttura architettonica e sulle sue trasformazioni nei secoli, a cura di Giuseppe Rocchi Coopmans de Yoldi, Luca Giorgi e Pietro Matracchi, della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, di cui si presentano i risultati.
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